Omelia del Vescovo Michele nella domenica della Passione del Signore

Omelia del Vescovo Michele nella domenica della Passione del Signore

“La croce apre un cammino di vita”: l’omelia del Vescovo Michele nella domenica della Passione nel Signore, pronunciata nella celebrazione a porte chiuse in cattedrale.
Una celebrazione sobria ma intensa, pur senza il rito della processione delle palme, come prevedono le norme stabilite dalla Chiesa per questo tempo.

Omelia del Vescovo Michele

Nella Passione di Cristo converge tutta la sua vita: il suo insegnamento, la chiamata dei discepoli, la prima comunità dei cristiani attorno a Gesù, tutto culmina in questo racconto. Vi troviamo la fedeltà di Dio, le emozioni profonde di Gesù, la sua comunione con i discepoli e la debolezza di questi ultimi, il rinnegamento di Pietro e il tradimento di Giuda, gli interessi dei capi del popolo e le loro accuse, la politica e le leggi dei romani, il giudizio.

Il mistero stesso della storia dell’umanità ci è stato esposto, presentato, e costituisce fino ad oggi lo specchio delle nostre fatiche, delle nostre infedeltà, della nostra mancanza di coraggio.

A questo punto, non abbiamo bisogno di un commento, non serve una predica. Il mistero va soltanto contemplato.

Voglio soltanto ascoltare di nuovo con voi la parola di Gesù sulla croce che il Vangelo di Matteo ci consegna: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

È l’inizio del Salmo 22, è la grande, antica preghiera di chi si trova nel dolore e nella prova, che Gesù trova nelle Scritture e fa sua, portando così persino l’esperienza del silenzio di Dio all’interno della sua stessa relazione con Dio Padre.

Gridare a lui ora è possibile anche a ciascuno di noi, perché Gesù ha vissuto ogni prova, ogni abbandono e lo ha portato con sé, per così dire, nella vita stessa di Dio.

“Fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi”: così proclameremo fra poco nel credo: davvero discese agli inferi, nelle molte esperienze di male e di morte di uomini e donne di ogni tempo, anche del nostro tempo, anche prima, al di là, persino oltre il dramma della pandemia. Gli abissi dell’abbandono e del male sono stati visitati da Gesù, e in essi il suo grido esprime ancora una volta l’affidarsi al Padre: egli grida “Dio mio, Dio mio” proprio perché il Padre continua ad essere il suo Dio.

Prima ancora che alle nostre domande, la croce mostra e realizza la risposta di Dio al nostro bisogno di vita: la croce non è un simbolo, utile per spiegare sofferenze di per sé inesplicabili. Non abbiamo bisogno di Gesù per spiegare ciò che succede o per esprimere la nostra ribellione di fronte alle sofferenze del mondo. La croce apre un cammino di vita per un popolo, per la comunità di coloro che guardano al Signore crocifisso a partire dalla propria esperienza e in lui scoprono Dio e il suo amore.

La croce di Cristo costituisce un popolo che non chiede nemmeno la spiegazione delle inesplicabili sofferenze, proprio perché ha scoperto che di fronte alle tragedie della vita c’è bisogno di amore, non di spiegazioni. Il nostro compito, un compito che la croce rende possibile e al quale essa ci interpella, è essere presenti gli uni agli altri quando scopriamo che da soli non possiamo fare nulla per salvarci, ma che nell’amore ci salveremo tutti.

Qui in terra, e per la vita eterna.