Omelia del Vescovo Michele alla Vigilia di Natale

Omelia del Vescovo Michele alla Vigilia di Natale

Non ci sarà più oscurità dove ora è angoscia.
In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti
”.

Così gli ultimi versetti prima della grande profezia di futuro – non sogno, ma promessa – nel libro del profeta Isaia che abbiamo appena udito.

Non è un sogno – dicevo – o un’illusione, ma una possibilità sempre di nuovo data, sempre attuale, sempre presente.

La Galilea è il luogo della commistione tra popoli differenti, terra di confine tra il popolo di Israele e le genti della terra. Luogo di rischio, di pericolo di contaminazione, lontano com’è dal centro religioso e politico. Ma è anche terra riscattata, terra che sarà di nuovo considerata addirittura gloriosa. “Galilea delle genti” non sarà più il nome di un luogo in cui si perde qualcosa, che sia l’identità, o l’autorità, o la purezza del culto, bensì il nome del luogo dell’incontro e dello sguardo amichevole, dell’abbraccio e dello scambio di conoscenze e di esperienze, luogo di comunicazione di forme differenti di amore per la stessa vita che è dono per tutti, senza condizioni.

La terra di confine – luogo di paura, di contrapposizione, di difesa da colui che è differente – diventa soglia, luogo di incontro, terra di scambio, di accoglienza di quanto di umanamente autentico e di amabile porta colui e colei che arriva senza che io prima li conoscessi.

La Galilea storica, la regione del nord di Israele, è oggi nuovamente il confine della paura, del sospetto e del conflitto e dei missili; ma quante sono le Galilee esistenziali del nostro tempo, i confini all’interno delle nostre stesse società?

E quanto potrebbero invece essere vicine a noi le Galilee dell’incontro, del dialogo e del rispetto, le Galilee che continuano a dare ospitalità e casa al Signore Gesù, il Nazareno, il Galileo?

È infatti questo e solo questo il luogo in cui avviene e si realizza la profezia di Isaia, questa “Galilea delle genti”, in cui, finalmente

hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Madian.

Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco”
.

È la Galilea il luogo del monte e della Parola di vita, dal quale il Signore proclamerà il rivoluzionario Vangelo delle Beatitudini.

C’è tutta questa promessa di vita buona, di pace e di giustizia nel cuore di Dio.

C’è questa storia di speranza, che non trova compimento in nessuna delle grandi capitali del tempo, ma a Betlemme di Giudea, patria del re Davide, piccola e grande al tempo stesso, povera e ricca.

In quella Betlemme che oggi non è più luogo di gioia, ma è vuota e spettrale, soffocata da una guerra insensata. Ma, lo preghiamo dal profondo del cuore, non disperata, anche se contro ogni evidenza.

C’è dunque una luce gloriosa splendente, limpida, calda, che aspetta solamente di irrompere nella storia degli uomini nella notte di Natale, nella notte in cui nasce il Figlio amato ed atteso. C’è l’annuncio dell’angelo pronto ad essere recapitato all’umanità, e ci sono anche i pastori, pronti nella notte: abituati a vegliare serenamente, perché la notte è divenuta casa loro, nella custodia del gregge, e che sanno anche che bisogna vegliare, perché le greggi vanno custodite, e la notte era, ed è, piena di insidie. Loro, proprio perché capaci di vegliare serenamente, sapranno leggere e comprendere il segno semplice, umile e povero – ma infintamente degno, e gioioso, e sorprendente, e ricco, e vitale – del bimbo avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia.

Tutto qui?

Sì, tutto qui. Non serve altro. Ma ci serve proprio questo bambino, vulnerabile e forte, ferita del cielo e del cuore di Dio, feritoia attraverso la quale può irrompere la luce.

La luce che dall’eternità aspetta di inondare di gioia gli umani, e tutto il creato, minimo ma definitivo varco che vìola e rompe ogni confine, e che rende comunicanti per sempre il cielo e la terra, che dona il divino all’umano, perché il divino si fa umano.

Sì, davvero: tutto qui. Anche nel senso che qui c’è proprio tutto. C’è la promessa che da allora per sempre si realizza, quando qualcuno si lascia illuminare dall’angelo, e sa riconoscere il segno, e si mette in cammino per adorare e gioire.

Qui, nell’accoglienza stupita e felice del dono del bimbo, accogliamo la fragile creatura e l’onnipotente creatore, e l’amico, e il compagno di viaggio, e il Signore, unico, della nostra vita:

Perché un bambino è nato per noi,

ci è stato dato un figlio.

Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
”.

Accogliamo l’indifeso guardandolo, ascoltandolo, imparando a riconoscerne gli stati d’animo e i bisogni. E così troviamo anche il senso della vita, il motivo per non sentirci soli, il dono del tempo che si trasforma in forza per vivere la realtà senza disinganni, ma con la tenace mitezza del bene.

Qui c’è davvero tutto quello che serve per vivere, e per amare e lasciarci amare, con tutto l’amore di Dio, con tutto l’amore che è Dio.

Non ci sono più limiti e barriere, in questa notte. Davvero “non ci sarà più oscurità dove ora è angoscia”. La profezia realizzata in Gesù, il Cristo, darà frutti buoni:

La Galilea sarà ancora terra di incontro.

Betlemme sarà ancora culla di pace.

E questo nostro incontro, e ogni luogo della nostra esistenza in cui ci incontreremo per far spazio alla pace sarà per noi “Galilea delle genti”, e sarà per noi “Betlemme”.

E la nostra città sarà luogo accogliente e amico, e tutti insieme saremo comunità di fratelli e sorelle, che imparano insieme ad amare.